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Abbiamo rintracciato l’articolo di Maggio scorso che Repubblica ci aveva dedicato… Grazie a Mario ed Angela!

8 Agosto 2020 | Non categorizzato

“Mario Cipollone e Angela Tavone, con una loro Associazione, fanno di tutto per tutelare “il vecchio con la pelliccia” della Marsica. Mettono in sicurezza i recinti degli allevatori di polli e migliorano il suo habitat. Come recuperare dei frutteti per consentirgli di cibarsi nel suo ambiente naturale. Ecco il loro racconto
DI GIULIANO ALUFFI

E’ un gigante prudente ed elusivo quello che, caracollando per i sentieri più invisibili del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, inebriato dal profumo di bacche, miele e mele selvatiche, cerca piano piano – con la flemma del plantigrado – di riconquistare più spazio per la sua specie. L’orso bruno marsicano, specie endemica del nostro Appennino, ha oggi una popolazione ridotta a 50-60 esemplari, ed è quindi sempre sull’orlo dell’estinzione, ma la tendenza delle nascite annuali è incoraggiante, perché in aumento.

Un segno di speranza
Questo fatto, unito alla maggiore libertà di movimento dell’orso in zone che l’agricoltura ha abbandonato da anni, è da un lato un segno di speranza per chi ama questo animale così iconico, mascotte del Parco Nazionale, e dall’altro fonte di preoccupazione perché se gli orsi si avventurano al di fuori della zona protetta hanno un maggior rischio di incontrare gli umani. E quindi di fare, proprio gli orsi, una brutta fine.

L’avvelenamento del 2007
“Sono proprio le notizie di orsi uccisi dagli uomini ad avermi indotto a dedicare la mia vita a questi animali”, spiega Mario Cipollone, ambientalista e fondatore di Salviamo l’Orso. “Uno dei casi particolarmente crudeli, che ha influito di più sulla mia decisione di fondare l’associazione Salviamo l’Orso, è stato l’avvelenamento, nel 2007, di tre orsi per mezzo di una carcassa di capra imbottita di pesticidi”.

Il vecchio con la pelliccia
Nel 2013 è stato l’orso Stefano – viene facile umanizzare nel nome un animale che è detto “vecchio padre” dai Samoyed siberiani, “il vecchio con la pelliccia” dai lapponi, e che nelle leggende Inuit cammina sempre a due zampe e, quando nessuno lo vede, si trasforma in uomo – a rimetterci la pelliccia: “E’ stato, di fatto, giustiziato sulle Mainarde molisane”, commenta con amarezza Cipollone. “Abbiamo parlato con la comunità locale: loro sostenevano che si è trattato di un tragico errore: erano andati a cacciare il cinghiale di notte, con i fari, e sbagliandosi avevano sparato a quel corpo tozzo e scuro spuntato all’improvviso da un cespuglio.Sarebbe comunque un episodio di bracconaggio, perché non si può cacciare nel parco, tantomeno di notte”.

L’80% della dieta a base vegetale
Se gli orsi sono in pericolo perfino nel parco, è chiaro che al di fuori di quell’area rischiano molto di più. “E’ naturale che gli orsi desiderino riappropriarsi di spazi che in antichità appartenevano alla loro specie. Uno degli esemplari usciti dall’area protetta è stato impallinato nel 2014, a Pettorano sul Gizio, per aver ucciso qualche gallina”. E pensare che l’orso, nonostante il suo aspetto vorace, non è un serial killer di bestiame. “Più dell’80% della dieta dell’orso è costituita da sostanze vegetali, come frutta, bacche ed erba. Tra l’altro essendosi evoluto come onnivoro, ma avendo mantenuto l’intestino corto dei carnivori, l’orso è poco efficiente nel digerire piante e frutti e quindi con le sue feci disperde semi pressoché intatti, aumentando la biodiversità della flora”, spiega Cipollone.

L’opportunista
“Il resto della sua dieta è carne, ma in buona parte invertebrati: mangia molte formiche. E non mangia solo il miele ma anche le larve delle api. Poi è un animale opportunista, e non disdegna le carcasse di animali morti, soprattutto quelli di grandi dimensioni”. Per questo all’orso, se lo si trova accanto a una carcassa di pecora o mucca, può capitare anche di essere accusato ingiustamente. “A volte viene anche incolpato intenzionalmente: magari un allevatore sa che il suo capo di bestiame è morto per altre cause, ma attribuendo la colpa all’orso può riscuotere gli indennizzi previsti dalla legge”, afferma Cipollone.

Danni minimi
“Succede lo stesso anche al lupo, quando magari a uccidere pecore o vitelli sono i cani randagi”. In realtà i danni veri e propri dell’orso sono minimi. Però, essendo un animale così carismatico, hanno una certa risonanza. “C’è un tessuto di piccoli allevatori hobbistici, che hanno pollai nelle periferie di molti paesi qui sull’Appennino abruzzese. Per l’orso le reti di quelle piccole baracche sono facilmente superabili. E l’impatto sociale c’è, perché magari l’orso uccide la gallina del pensionato”, spiega Cipollone.

L’installazione delle reti elettrificate
“Per questo con Salviamo l’orso e Rewilding Appennines siamo impegnati di continuo in progetti a supporto di queste piccole comunità: abbiamo già fornito, e montato grazie ai nostri volontari, reti elettrificate che possono evitare questi episodi di predazione da parte degli orsi nei pollai. Questo riduce la conflittualità e quindi tutela anche l’orso”. A volte invece la conflittualità deriva da quello che poi è uno dei maggiori pregi dell’orso: il suo essere una “specie ombrello”.

La funzione dell’ecosistema
Essendo al vertice della catena alimentare del suo ecosistema, per sopravvivere l’orso ha bisogno che tutto il suo ecosistema funzioni al meglio. Quindi proteggere l’orso significa, per le autorità, tutelare anche tutta la fauna al di sotto dell’orso. Questo, soprattutto quando gli orsi iniziano a spostarsi al di fuori dei confini del Parco, può dare fastidio a qualcuno. A qualcuno armato di fucile.

Il conflitto con i cacciatori
“Se l’orso si espande, come succede oggi in Abruzzo, Lazio e Molise, potrebbero espandersi con lui anche le aree protette: ciò è visto con fastidio dai cacciatori, che si troverebbero così impossibilitati a cacciare nelle aree che preferiscono”, osserva Cipollone. “Bisogna anche dire che è difficile che questa conflittualità con i cacciatori si traduca in uccisioni. Il ritrovamento di un orso ucciso a pallettoni attira una certa attenzione, in fondo, e magari misure protettive ancora più drastiche. In realtà spesso i cacciatori mettono in atto una sorta di omertà: vedono l’orso, non gli sparano, ma non rivelano a nessuno la sua presenza, così da non rischiare che quell’area venga dichiarata protetta per via dell’orso”.

Migliorare il suo habitat
Le aree protette e la loro difesa sono importantissime, ma non sono il solo sistema per salvare l’orso bruno marsicano. Esistono anche metodi più creativi, come quello escogitato da Mario Cipollone e Angela Tavone, nella loro doppia veste di responsabili di Salviamo l’orso e di team operativo di Rewilding Appennines. “Oltre a mettere in sicurezza più di 100 recinti nella riserva naturale regionale di Monte Genzana Alto Gizio, ovvero oltre il 90% delle fonti di cibo potenzialmente attrattive per l’orso, abbiamo voluto migliorare il suo habitat: per questo abbiamo recuperato dei frutteti nel territorio di Pettorano, molto lontani dagli abitati e che erano stati abbandonati da decenni”, spiega Angela Tavone. “Con i nostri volontari abbiamo liberato i meli esistenti dagli arbusti che li soffocavano e gli sottraevano luce, cercando di farli produrre in modo che gli orsi trovino più risorse alimentari in montagna e non sentano la necessità di avvicinarsi agli insediamenti umani”.

Raccontare, comunicare, spiegare
L’efficacia di questa azione è stata testimoniata dalla presenza di diversi esemplari d’orso nelle aree recuperate da Mario e Angela. Nelle aree che invece gli orsi “recuperano” da soli, spingendosi al di fuori dei confini del parco, l’imperativo è un altro: raccontare, comunicare, spiegare. “E’ importante, per la nostra associazione, dare un forte segnale di presenza e sostegno alle comunità che non conoscevano assolutamente l’orso» spiega Cipollone. “Continuiamo a organizzare incontri pubblici per parlare del modo migliore per convivere con l’orso, e diamo supporto ad agricoltori e allevatori per minimizzare le occasioni di conflitto. Ora lo stiamo facendo anche nel corridoio naturale che dal Parco Nazionale d’Abruzzo va verso i monti Ernici e Simbruini lungo la valle Roveto”. Là dove i colossi bruni si muovono di nascosto, esprimendo una loro decisa e al tempo stesso caracollante voglia di libertà.

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